Nel popolo
Xosa, una delle tante tribu’ che vivono in Sud Africa, una vecchia di nome
Shala, aveva una figlia e quando dai monti blu si spostavano nel bush per
trovare pochi fili di erba verde per il
bestiame erano giorni di marce e speranza, di fredde notti di occhi affamati e
di orme alla ricerca di prede. Rami spezzati, alberi mossi da freschi aliti di
vento, sussurri ed echi di passate paure erano
musica di queste terre lontane.
La figlia di Shala, per molti giorni svaniva, evanescente, mistica, padrona di antiche
credenze, scrigno e libro parlato di un popolo antico, e molti erano a tremare
per lei, a pensarla sola e indifesa nella notte crudele, tremante e smarrita
senza un fuoco come amico e qualcuno conoscitore di vita, tranne Shala, il nome
della figlia era Kena, gambe di antilope,pelle colore dell’ ebano,lucida di oli
e di memoria antica, di raggi di stirpe senza paure e la notte ruggivano i leoni, le
iene tristemente ridevano, e altre forme e scuri fantasmi si muovevano furtive .
Nelle misere
baracche,difese solo da rovi e rami di acacie dalle lunghe spine,fuori solo
piccoli fuochi per rischiarare la notte, e dare un po’di coraggio un pò di
calore e allontanare forme maligne dalla mente e dal cuore. Per molti mesi Kena non fece
ritorno al villaggio, i vecchi la davano morta, e le vecchie dai volti rugosi
cosparsi di cenere bianca con i loro crespi e bianchi capelli,cantavano e
invocavano le ombre della notte, chiedendo loro perdono e protezione, i giovani
valorosi guerrieri, a notte si chiudevano nelle capanne per paura dei
mangiatori di uomini,o intorno ai fuochi stretti a sussurrare parole, solo Shala sorrideva e cantava,cantava in una
lingua diversa,intrisa di note piumate e di misteri ancestrali ed anche le
stelle ascoltavano vibranti formando collane di luci stellari e la luna si
faceva gioco del freddo argento tingendosi un po’ d’oro.
E un canto lontano di pura
bellezza, di gioia e dolore, di amore e speranza, squarciava il tempo e
colorava il sangue di un rosso diverso. Un giorno un leone arrivò vicino al
villaggio,aveva tra le labbra un cucciolo umano, fece tre volte il giro dei
rovi, poi depose il neonato tra l’erba ruggi’ tre volte mentre Shala usciva dal
villaggio e si avvicinava cantando una strana canzone,il leone la guardo’, occhi
gialli più giallo dei gialli, venati di buono e di comprensione, contro occhi
d’amore, criniera da re al cospetto di maga portatrice di vita e lei la vecchia
madre lo accarezzo’, il leone l’annusò e i suoi occhi divennero azzurro di mare
e di cieli immensi e profondi, poi
frustando l’aria con la coda scomparve nella nebbia tra il bush.
Il piccolo
aveva gli occhi di Kena, la pelle di Kena, il sorriso di Kena, da quel giorno
ogni notte il leone ruggiva tre volte, e poco dopo, un canto lontano si alzava
melodioso, una canto di acqua, di vita,di luce,di libertà, d’incanto, di
coraggio e tristezza, di amore e rispetto, il canto antico di un popolo, il sospiro di una terra incantata e violenta ,
sfregiata per il Dio ricchezza, affamata e sporcata da bianche mani portatrici
di morte, il canto di Kena.
M. Ricci
M. Ricci
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